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ESG supply chain: strategie per una catena di fornitura sostenibile

Autore: 14 Luglio 2025No Comments7 minuti di lettura

Se hai una filiera produttiva, prima o poi dovrai fartela questa domanda: quanto ti costa davvero non sapere cosa succede tra un fornitore e l’altro? Per molti, la risposta arriva tardi: quando esplode uno scandalo, salta una consegna, o un cliente importante ti esclude da una gara. Parlare di ESG nella supply chain non è un esercizio accademico. È un modo diverso di guardare al proprio business.

L’ABC della sigla ESG, ma detto chiaro

ESG: Environmental, Social, Governance. Tre parole che ormai campeggiano ovunque. Ma cosa vogliono dire davvero, applicate alla catena di fornitura?

  • Environmental: che impatto ambientale hanno i tuoi fornitori? Energia, rifiuti, emissioni, acqua, logistica. Tutto conta.
  • Social: chi lavora davvero nei capannoni che producono per te? Età, condizioni, sicurezza, rispetto.
  • Governance: come vengono gestiti i contratti, le certificazioni, le responsabilità? C’è trasparenza?

Non è filosofia. È gestione. E la gestione, o la fai, o la subisci. Integrare i criteri ESG in ogni fase della propria catena di fornitura significa portare coerenza nella strategia aziendale.

Le aziende più avanti l’hanno già capito

Chi lavora sul serio su questi temi non lo fa per greenwashing. Lo fa per una questione di controllo, efficienza, affidabilità.

Perché ogni volta che non sai cosa succede nella tua supply chain, stai rischiando. E spesso, non poco.

  • Rischi legali, se emergono violazioni.
  • Rischi reputazionali, se finisci sui giornali.
  • Rischi operativi, se un fornitore scompare.
  • Rischi commerciali, se perdi clienti chiave.

Fare ESG nella filiera è prevenzione. E la prevenzione è il miglior investimento che puoi fare, soprattutto quando i margini si assottigliano e il contesto cambia in fretta. Serve una strategia per mitigare i rischi lungo l’intera supply chain.

Da dove si parte davvero

Lascia perdere gli slogan. Se vuoi lavorare davvero sull’ESG della tua supply chain, la prima cosa da fare è mappare. Chi sono i tuoi fornitori? Quanti livelli di subfornitura ci sono? Chi ha già delle certificazioni? Chi non ha mai risposto a una mail?

Questa fotografia, che all’inizio può sembrare solo un foglio Excel, è la base per tutto. Perché ti fa vedere dove sei e ti permette di capire dove puoi arrivare. I dati ESG vanno raccolti, aggiornati e analizzati su tutta la propria filiera.

Lavorare con chi ci crede

Una cosa è certa: non puoi fare ESG da solo. Serve che anche chi lavora con te capisca l’importanza del percorso. E qui entra in gioco una parola scomoda: responsabilità.

Molti fornitori non sono pronti. Non per cattiva volontà, ma perché non ci hanno mai pensato. Hanno sempre lavorato così. E oggi si trovano davanti a richieste nuove, che sembrano venire da un altro mondo.

Il tuo compito, se vuoi davvero cambiare le cose, è duplice:

  • Fare pressione, perché senza pressione non si muove nulla.
  • Offrire strumenti, perché senza strumenti non cambia nulla.

Puoi farlo con audit, corsi, check-list, ma soprattutto con una comunicazione chiara: chi lavora con te deve sapere cosa ti aspetti. E cosa sei disposto ad accettare. E cosa no.

Le leggi stanno arrivando

L’Europa si sta muovendo. E non in punta di piedi. Le nuove direttive sulla due diligence obbligano le aziende a conoscere, monitorare e intervenire sulla filiera.

Non è più solo una scelta. In molti casi, sta diventando un obbligo. E chi non si adegua, paga. Letteralmente.

Meglio attrezzarsi ora, quando hai ancora margini di manovra, piuttosto che correre dopo, quando è già troppo tardi.

Due riferimenti concreti:

  • CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive): obbliga le imprese europee a rendicontare in dettaglio gli impatti ESG lungo tutta la supply chain.
  • CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive): impone processi formali di due diligence ESG anche per i fornitori indiretti.

Chi lavora con fornitori extra-EU deve essere ancora più attento: molte produzioni a basso costo nascondono condizioni inaccettabili, sia ambientali che sociali.

ESG e procurement: cambiano le regole del gioco

Non si sceglie più un fornitore solo in base al prezzo. Le aziende più evolute valutano anche:

  • Le certificazioni ambientali.
  • Le condizioni di lavoro.
  • La distanza logistica.
  • La governance dell’impresa.
  • La disponibilità alla trasparenza.

Chi non ha questi elementi rischia di restare fuori. Punto. E le gare pubbliche? Ancora peggio: sempre più bandi attribuiscono punteggi ESG. Chi arriva senza, parte già sconfitto.

Il capitale segue chi fa scelte sostenibili

Sempre più investitori valutano le performance ESG per decidere dove mettere i soldi. I fondi ESG richiedono trasparenza e tracciabilità. Le banche offrono condizioni migliori a chi dimostra di avere una gestione responsabile. Le assicurazioni iniziano a premiare le aziende più resilienti ai rischi ambientali sociali.

Fare ESG non è un costo. È un accesso al capitale. E oggi, chi sa finanziarsi meglio, vince.

La tecnologia può aiutare, ma non basta

Blockchain, software di tracciabilità, dashboard ESG. Tutti strumenti utili. Ma attenzione: la tecnologia non risolve problemi culturali.

Serve una mentalità nuova. Serve che chi si occupa di acquisti non guardi solo al costo, ma anche alla coerenza. Che chi lavora nel marketing non racconti favole, ma verità. Che il management faccia davvero quello che dice nei report.

La coerenza è il vero ESG. Il resto è solo una cornice.

Comunicare il proprio impegno ESG

Il modo in cui racconti il tuo percorso ESG conta. Ma occhio a non scivolare nel marketing fine a se stesso. Le persone (e i clienti) capiscono subito se stai facendo storytelling o se c’è sostanza.

Racconta le cose vere. Anche i limiti. Anche le cose che non sono andate bene.

Trasparenza batte perfezione. Sempre.

Alcuni esempi italiani da osservare bene

  • Davines, nel settore cosmetico, ha costruito una supply chain basata su tracciabilità, agricoltura rigenerativa e partnership locali.
  • Manteco, azienda tessile toscana, ha implementato processi circolari nel riciclo della lana e una selezione ESG dei fornitori.
  • Illycaffè lavora direttamente con piccoli produttori in oltre 20 paesi, garantendo prezzo equo, formazione e tracciabilità.

Queste aziende dimostrano che l’ESG si può fare anche in Italia. E che è un vantaggio competitivo.

Un passo alla volta, ma senza scuse

Nessuno chiede la perfezione. Ma chi ha una supply chain oggi non può più dire: “non lo sapevo”. I dati ci sono. Le risorse anche. Le buone pratiche pure.

Serve solo una decisione: iniziare. Da un fornitore. Da una categoria merceologica. Da un tema specifico. L’importante è non restare fermi.

Perché chi si ferma, viene superato. Non solo dalla concorrenza, ma anche dalla coscienza collettiva.

E oggi, la reputazione vale quanto una commessa.

Cultura ESG: o è parte del DNA, o è solo una maschera

Una vera strategia ESG parte dalla testa dell’azienda. Non è un progetto laterale. È una mentalità.

  • Che il CEO deve sostenere.
  • Che la direzione acquisti deve integrare.
  • Che i collaboratori devono comprendere.

ESG vuol dire visione, coerenza, responsabilità. Chi lo applica sul serio, cambia davvero. Chi lo finge, si smaschera da solo.

E chi ci crede per primo, è quello che sarà ancora competitivo tra dieci anni. Gli altri, saranno già fuori partita.

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